L'osmosi e la pressione osmotica Membrane semipermeabili Una membrana selettivamente
permeabile permette il passaggio, attraverso di essa, di
alcune sostanze e impedisce quello di altre. Alle volte
l'ostacolo al passaggio delle molecole non è un
blocco totale, ma le sostanze diffondono attraverso la
membrana con differente velocità presentando quindi
differenti gradi di permeabilità. Per un trattamento
semplificato considereremo le membrane come semipermeabili
e, giacchè la gran parte delle esperienze si
riferisce a soluzioni acquose, tratteremo il sistema come
perfettamente permeabile al solvente acqua e perfettamente
impermeabile ai soluti.
Osmosi (dal greco = spinta) Il fenomeno dell'osmosi, conosciuto
in modo superficiale fin dai tempi antichi, pare sia stato
messo in evidenza in maniera scientifica nel 1748 dall'abate
francese Jean-Antoine Nollet (1700-1770), uno scienziato che si occupò soprattutto di elettricità, primo professore di fisica sperimentale all'Università di Parigi. L'abate Nollet osservò che una vescica di
maiale, impermeabile all'alcol etilico, quando veniva
riempita di una soluzione idroalcolica e successivamente
immersa in acqua pura, tendeva ad assorbire l'acqua
dall'esterno gonfiandosi fino a scoppiare. Solo un
secolo dopo Van't Hoff ha stabilito le leggi che regolano il
fenomeno. Questa situazione di non equilibrio conduce ad un netto passaggio di solvente verso la soluzione diluendola. Il fenomeno osmotico procede finché il surplus di pressione idrostatica, dovuta al dislivello h che si viene a creare, non uguaglia la spinta osmotica; al raggiungimento di questa situazione, il flusso bidirezionale di solvente risulta identico e il sistema raggiunge l'equilibrio: I tempi di osservazione dei processi osmotici sono piuttosto lunghi perchè procedono per diffusione. Se il sistema viene opportunamente agitato i tempi diventano ragionevoli. Il fenomeno osmotico si manifesta anche quando i due comparti sono riempiti con soluzioni aventi differente concentrazione (differente pressione osmotica). In questi casi il solvente si sposta dalla soluzione più diluita verso quella più concentrata. Per dare un'idea del dislivello necessario per condurre
il sistema all'equilibrio, provate a fare un click sul
bottone start dei due esempi seguenti. Il bottone restore ripristina la situazione iniziale. Il soluto utilizzato per
la soluzione sul lato sinistro è il saccarosio
(C12H22O11; PM=342); a
destra c'è il solvente puro (acqua) e la temperatura
della mini simulazione è mantenuta a 25°C.
Pressione osmotica La spinta derivante dal fenomeno osmotico può essere misurata con il metodo di opposizione mediante l'applicazione di una forza uguale e contraria all'intensità del fenomeno stesso. Considerando un sistema come quello rappresentato nella figura seguente, con una soluzione sul lato sinistro, separata dal solvente puro da una membrana semipermealbile, la pressione osmotica della soluzione è uguale alla pressione meccanica che bisogna applicare sulla superfice della stessa per controbilanciare esattamente la spinta osmotica e impedire che il fenomeno si verifichi. CALCOLO DELLA PRESSIONE OSMOTICA Nel 1887 Van't Hoff, per il calcolo della pressione osmotica di una soluzione, propose una equazione, derivata da ineccepibili presupposti termodinamici che, in forma semplificata e valida solo per soluzioni molto diluite, faceva intuire una inesistemte analogia tra le soluzioni ideali e i gas ideali:
da cui
Dove è la pressione osmotica espressa in atmosfere, M è la concentrazione molare della soluzione, R = 0.0821 ( L atm K-1 mol-1 ) e T la temperature in Kelvin. In termini suggestivi, anche se termodinamicamente non corretti (I Principi dell’Equilibrio Chimico K. Denbigh, Casa Editrice Ambrosiana), si potrebbe affermare che la pressione osmotica, per una soluzione ideale, è numericamente uguale alla pressione che le particelle di soluto eserciterebbero se si trovassero allo stato gassoso nelle condizioni di volume e temperatura della soluzione. La pressione osmotica è una proprietà colligativa perchè è funzione della concentrazione delle particelle chimiche "estranee" al solvente e non dipende dalla loro natura o identità chimica; queste particelle derivano dalla o dalle sostanze che si solubilizzano nel solvente. Il numero di particelle "estranee" ottenute da una certa quantità di un determinato composto chimico che viene solulbilizzzato può dipendere dalla sua natura e dall'interazione con il solvente. Quando si intende comparare due soluzioni a seconda del valore assunto dalla pressione osmotica, si usano i seguenti termini:
Il termine osmolarità è utilizzato dai biologi per descrivere il numero di moli di particelle derivanti dal soluto per unità di volume di soluzione. In altri termini possiamo dire che la osmolarità rappresenta la molarità della soluzione espressa in numero di moli di particelle osmoticamente attive (molecole e/o ioni derivanti da eventuale dissociazione). I processi osmotici e quelli diffusivi in genere, rivestono grande importanza nell'esplicazione dei fenomeni chimico-fisici che stanno alla base della vita. Numerosi sono gli esempi disponibili
nella letteratura scientifica che permettono di evidenziare
l'osmosi anche mediante semplici esperienze condotte con
materiale facilmente disponibile. Alcuni esempi sono basati
su comuni alimenti (carote, patate, uova etc.), altri,
invece, necessitano di strumentazione idonea e microscopi di
elevata qualità perchè condotti su
organi o cellule animali (globuli rossi etc.) Un altro esempio che si rintraccia sui libri di testo è rappresentato da una carota immersa in una soluzione di NaCl e in acqua di fonte. Nel primo caso la carota, dopo alcune ore, diventa molle perchè l'acqua della carota passa all'esterno. Un altro esempio riguarda la cellula uovo debitamente sgusciata mediante bagno in aceto (acido acetico circa 1.0 M) allo scopo di mantenere intatta la membrana. Se immerso in acqua pura si rigonfia, se immerso in acqua salata tende a rimpicciolire. |